“Il primo invito alla prudenza viene banalmente dalla diffusività del mezzo. Pubblicare su Internet la foto dei propri bambini è di per sé atto che potenzialmente può raggiungere un numero di persone, conosciute e non, indiscutibilmente più ampio che non il semplice gesto di mettere la foto dei propri figli più o meno in mostra sulla propria scrivania. Significa, cioè, esporli realisticamente ad un numero esponenzialmente maggiore di persone che possono anche non avere buone intenzioni e magari interessarsi a loro in maniera poco ortodossa. Non è così frequente ma neppure irrealistico il rischio che persone di questo genere – genericamente pedofili o persone comunque interessate in modi non del tutto lecite ai bambini – possano avvicinarsi ai nostri bambini dopo averli magari visti più volte in foto online”: è quanto ha dichiarato al quotidiano La Repubblica il magistrato torinese Valentina Sellaroli.
Tra gli altri pericoli nascosti, secondo la pm del Tribunale per i minorenni di Torino, c’è anche quello che queste foto vengano usate per scopi pedopornografici da: “Soggetti che taggano le foto di bambini online e, con procedimenti di fotomontaggio più o meno avanzati, ne traggono materiale pedopornografico di vario genere, da smerciare e far circolare tra gli appassionati”.
A rendere più chiare le preoccupazioni dI Sellaroli è arrivata un’inchiesta, che gli inquirenti hanno ribattezzato: “La Bibbia 3.0”, cioè un colossale e diabolico archivio pedopornografico scoperto dalla Polizia Postale, che ha assicurato alla giustizia 39 persone, denunciate per detenzione e diffusione di tale materiale, mentre 2 sono stati tratti in arresto nell’ambito di una complessa operazione coordinata dal Centro nazionale di contrasto alla pedopornografia online. L’inchiesta è nata da segnalazioni ricevute dalla Polizia Postale di Salerno e di Catania, ed ha permesso agli inquirenti di ricostruire forme e modi di gestione di questo spazio virtuale, che costituiva un vero e proprio maxi archivio telematico contenente migliaia di fotografie e video ritraenti bambine in atteggiamenti sessualmente espliciti. Le immagini erano catalogate con specifiche “chiavi di ricerca” per agevolare la consultazione e, in alcuni casi, erano riportati anche elementi utili ai fini dell’identificazione del soggetto ritratto. L’archivio era alimentato dai diversi utenti mediante la sottrazione delle immagini pubblicate sui profili dei social network o a seguito dell’invio, da parte delle stesse vittime, delle proprie immagini di nudo a soggetti conosciuti prevalentemente su Internet, che provvedevano alla successiva diffusione dei file così ricevuti.
In occasione di una recente iniziative di alcune madri che avevano lanciato l’idea di postare 3 foto ritraenti momenti felici insieme ai propri figli, la Polizia Postale ha fatto notare: “Il pericolo più grande è quello dell’associazione del minore all’identità del genitore, o di altri familiari presenti nelle foto, e la conseguente ricerca ed individuazione di dati personali per mettere in campo azioni illecite e fraudolente”. Tradotto in parole povere: pubblicando la foto del figlio o della figlia è possibile risalire con molta facilità al cognome e anche al nome, alla città o una geolocalizzazione se non addirittura all’indirizzo di casa vostra.
Per Antonio Marziale, sociologo e presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori: “É incredibile come taluni genitori non riescano a comprendere il rischio elevatissimo di esporre i propri figli a pericoli reali, infatti la Rete ormai non è più da considerarsi “virtuale” giacché su Internet lavoriamo, comunichiamo, giochiamo e viviamo. Anzi tutte le volte che ho tentato di portare questa gente alla ragione sono stato persino insultato. Sembra paradossale che per difendere i bambini bisogna lottare proprio con i genitori, ma è così. Ed allora ecco spiegato il “perché” la società abbia bisogno di un Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ruolo che ho rivestito in Regione Calabria per una legislatura. Noi, inquirenti e collaboratori istituzionali, urliamo e loro si offendono pensando trattarsi di allarmismo. Forse per convincerli bisognerebbe farli parlare con genitori, che per avere sottovalutato si sono ritrovati i figli alla mercé di pedofili. Bisogna arrivare a questo o, un volta per tutte – conclude perentoriamente Marziale – vogliamo innescare il buonsenso?”.