Passato sotto traccia, il dpcm del 2 marzo rende il certificato verde valido 540 giorni dalla dose di richiamo. Scaduti i quali sarà emesso un altro documento, di uguale durata. Ma i rinnovi potranno diventare perenni.
Green pass per sempre. Lo scorso due marzo il Parlamento era impegnato a votare la risoluzione (in bianco) per inviare armi del nostro esercito a Kiev. Voto favorevole quasi unanime dopo il lungo discorso di Mario Draghi. Lo stesso giorno mezza opinione pubblica era impegnata e discutere del tentativo di censura del corso di Paolo Nori su Dostoevskij. L’altra metà era preoccupata dei morti o dei ricaschi economici della guerra. Il 2 marzo nessuno si è concentrato sul green pass. Eppure sarebbe stato opportuno perché a un anno esatto dal dpcm con cui Draghi dava continuità alla linea Conte (salvo il fatto di abolire per i ristoranti il divieto di chiudere alle 18), Palazzo Chigi nel silenzio ha partorito un nuovo dpcm.
Il testo finito in Gazzetta ufficiale due giorni dopo rende perenne il green pass. Il documento, formalmente, serve ad aggiornare le modalità di verifica dell’obbligo vaccinale e della carta verde. Nella realtà, e senza tanti giri di parole, all’articolo 1 (comma b) spiega che la blockchain sottostante il lasciapassare, una volta somministrata la dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale, durerà 540 giorni. Al termine dei quali la piattaforma nazionale provvederà in automatico a emettere un secondo green pass, anch’esso valido per altri 540 giorni.
In tutto farebbe 1.080 giorni, la bellezza di quasi tre anni. Attenzione. Nulla dice che ci si ferma lì. L’automatismo dovrebbe poi essere interrotto. Ma nel testo del dpcm non c’è alcuna traccia di una tale intenzione. In pratica, duole dirlo, ma come più volte ha denunciato La Verità un green pass sarà per sempre. Nel frattempo, prosegue il testo, si diramano le direttive per aggiornare i sistemi di lettura in modo che ciascuna categoria venga incasellata correttamente. Tridosati, esentati da una parte e No vax dall’altra. Inutile dire che tutto sarà anonimizzato e quindi si farà anche finta di tutelare la privacy. La realtà sarà diversa perché nei luoghi di lavoro, nelle università e nelle altre strutture pubbliche chi non avrà diritto di entrare (perché non in regola con il ciclo vaccinale) si troverà la porta sbarrata da un semaforo rosso.
Il dpcm, infatti, oltre a sincronizzare la nostra carta verde con quella degli altri Paesi esteri, prevede nel dettaglio le modalità di controllo per i lavoratori dipendenti e l’iter di comunicazione tra ministero della Salute (che gestisce l’anagrafe vaccinale) e l’Agenzia delle entrate. Per capirsi, per coloro che si lamentavano ritardi nelle multe agli over 50 non vaccinati, ecco la risposta. C’è tutto il tempo necessario (540 giorni rinnovabili all’infinito) per fargli arrivare a casa il bollettino da pagare. Altro che stop all’obbligo il 15 giugno. Così, da un lato il governo annuncia aperture, spiegando che il green pass non sarà necessario a partire da aprile in ristoranti e altri luoghi all’aperto. Lascia inoltre intendere che poi ci sarà un passo indietro sui mezzi pubblici e sul lavoro. Solo che ormai lo storytelling cozza sempre più con le azioni intraprese.
Quando lo scorso ottobre abbiamo analizzato il decreto che metteva in pratica le decisioni di giugno 2021, ci è apparso subito chiaro che una struttura di tale imponenza e pervasività non potesse essere messa in piedi per poco tempo. Per di più, già dal febbraio del 2020, l’Unione europea si era presa la briga di descrivere l’Ue del futuro a matrice digitale. L’obiettivo dichiarato è quello di trasformare i governi in piattaforme e i cittadini in Identità digitali. Per essere più precisi, in portafogli (wallet) digitali certificati da una struttura blockchain. Esattamente la stessa infrastruttura messa in piedi per certificare la carta verde.
Se ancora qualcuno avesse avuto dubbi, a tagliare la testa al toro è stata la Legge finanziaria approvata con lo scadere del 2021. Infilato dentro a un decreto legge collegato, il ministero dell’Economia ha unilateralmente prorogato a fine 2022 l’autorizzazione a tracciare la salute degli italiani in barba alla privacy. Si tratta di uno schema nato ad aprile del 2020 assieme allo stato di emergenza. Serviva per lanciare l’App Immuni e Io. Poi è servito per lanciare il green pass. Grazie al bliz di Daniele Franco lo schema è finito in manovra sganciandosi dallo stato di emergenza. E c’è da scommettere sarà rinnovato con la prossima manovra. È un tassello del progetto più ampio: rendere permanente la carta verde, al di là di ogni natura emergenziale e persino sanitaria. Va ricordato che sempre lo scorso ottobre nel decreto Riaperture è stato infilato un articolo che permetterà a tutti gli enti pubblici o i ministeri di scambiarsi i nostri dati senza dichiarare l’uso che ne vogliono fare. In gergo tecnico si chiama interoperabilità dei silos dati. Tradotto, è la possibilità di tracciare i cittadini che a questo punto possono anche essere chiamati utenti digitali. Al di là delle dichiarazioni, una volta accantonata l’emergenza sanitaria, il green pass potrà rendere aittvi nuovi semafori. Bloccare chi non ha versato le tasse, erogare i sussidi di povertà e regolare l’accesso ad ospedali o servizi pubblici come le poste o le banche. Il fine ultimo sarà chiudere il cerchio. Attivare l’euro digitale e permettere acquisti con quello.
Bene andare a riascoltare Ursula von der Leyen in occasione del discorso dell’Unione. «Ogni volta che una app o un sito web ci chiede di creare una nuova identità digitale, non abbiamo idea di cosa ne sia veramente dei nostri dati», ha detto nel 2020. «Per questo motivo, la Commissione proporrà presto un’identità digitale europea sicura. Che ogni cittadino potrà usare ovunque per fare qualsiasi cosa, da pagare le tasse a prendere a noleggio una bicicletta». Controllo quasi totale. Avremmo dovuto preoccuparci già allora.
di Claudio Antonelli – La Verità
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