Scuola mascherine, il ministro Patrizio Bianchi delira di «opportunità» digitali e di dispositivi come «simbolo di un patto per la sicurezza». Poi si fa fotografare a volto scoperto tra gli alunni imbavagliati. E Bruxelles proroga il green pass per un anno.
Di Patrizia Floder Reitter, La Verità scuola mascherine. Per l’ultimo giorno di scuola in molte Regioni italiane, il ministro dell’Istruzione ha salutato gli studenti con uno strampalato sillogismo. Roba da finire dietro la lavagna con le orecchie d’asino. «Le mascherine sono simbolo dello sforzo collettivo che il Paese ha fatto. In due anni siamo riusciti a vaccinare quasi la totalità della popolazione. Andiamo avanti con attenzione per la vita di tutti, e nella vita di tutti c’è anche l’attenzione per la sicurezza degli altri.
«È questo il tema», ha dichiarato Patrizio Bianchi a SkyTg24. Addio bavagli mai, nemmeno il prossimo anno, voleva dire in soldoni, dopo averci imprigionato gli studenti fino al termine delle lezioni.
«Quando a settembre abbiamo deciso di aprire le scuole in presenza abbiamo fatto un patto, garantire la sicurezza di tutti. La mascherina è il simbolo di questo patto di vicinanza», ha aggiunto l’ex rettore dell’università di Ferrara. Il ministro ha invitato inoltre a «non enfatizzare» la questione delle mascherine a scuola agli esami di maturità. Oggetto del ricorso del Codacons, respinto ieri dal Tar del Lazio, che ne ha confermato l’obbligatorietà.
«Pensiamo al fatto che stiamo andando a fare esami regolari», ha risposto piccato. Senza stato d’emergenza e con varianti sotto controllo, gli studenti stremati da quarantene, dad e docenti sospesi o demansionati, devono forse ringraziarlo?
Malgrado i capelli bianchi e l’aspetto pingue, l’emiliano approdato a Viale Trastevere non suggerisce alcunché di bonario.
Più che un nonno, sembra lo zio arzillo che vedi solo ai matrimoni, dove combina cose imbarazzanti. Nella scuola, da quando è arrivato, in realtà ha dato prova anche di notevole cattiveria. Come quando nel settembre scorso avviò l’anno scolastico, dichiarando che «dove ci sono classi di vaccinati si possono togliere la mascherina e si può tornare a sorridere».
Gli altri alunni invece dovevano finire discriminati, e chissenefrega se non avevano da rallegrarsi perché Bianchi ha sempre preferito scaricare sul Comitato tecnico scientifico la ragione delle sue assurde decisioni. «Le regole», a scuola, dichiarò durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, «sono quelle del Cts, mascherine, distanziamento e misure di igiene fondamentale». Chissà come mai, allora, l’ex assessore regionale all’Istruzione in Emilia Romagna per due mandati, con Vasco Errani prima e Stefano Bonaccini poi, scelto dal premier Mario Draghi per sostituire nel febbraio 2021 Lucia Azzolina travolta dai banchi a rotelle, ha pensato bene di muoversi all’interno di una scuola primaria senza mascherina.
È accaduto pochissimo tempo fa, il 28 maggio, quando Patrizio Bianchi si è recato in visita nell’Istituto comprensivo di Stienta, in provincia di Rovigo. Il ministro, che proprio quel giorno compiva 70 anni, all’interno dell’edificio si è calato la mascherina sul mento mentre firmava autografi ai ragazzini, tutti rigorosamente imbavagliati. Forse l’amico di Romano Prodi può soffrire il caldo e cercare di respirare, mentre gli allievi no?
Anche durante l’incontro con gli studenti nella palestra dell’istituto, Bianchi ha preso il microfono e si è tenuto il dpi a mo’ di fascia per il collo.
Voleva farsi sentire forte e chiaro? Magari è la stessa esigenza che hanno avuto decine di migliaia di docenti, costretti per un intero anno a fare lezione con bocca e naso nascosti da una pezza definita chirurgica, di pessimo materiale e provenienza. Professori che chiedono un microfono per non dover usare il bavaglio, ma solo al ministro è concesso.
L’immagine più scandalosa che ci offre il reportage realizzato dalla scuola rodigina è del cortile della materna, con quasi tutti i bimbi costretti a indossare la mascherina all’aperto. Il ministro dell’Istruzione, assieme a Enrico Ferrarese, sindaco di Stienta e nuovo presidente della Provincia, sono invece belli rilassati, senza mascherina addosso. Come fecero il premier Draghi e il governatore del Veneto, Luca Zaia, durante la visita in una scuola media del Veronese.
Bianchi, per di più, ha l’aggravante di aver permesso che piccoli alunni rimanessero imbavagliati fuori da aule e corridoi, in spazi aperti. Mentre per sé stesso rivendicava il diritto di mostrarsi a volto scoperto. Proprio una bella lezione ha offerto, signor ministro dell’Istruzione, che ieri si è pure permesso di definire la didattica a distanza una buona occasione perché «abbiamo imparato su tutto il territorio nazionale a usare gli strumenti digitali» e che in futuro digitalizzazione e scuola in presenza saranno «complementari».
Nel luglio dello scorso anno, inaugurando il Campus Lab, laboratori estivi presso l’Istituto alberghiero Vergani di Ferrara, il professore ed economista ricordava «gli sforzi enormi fatti in questo anno di pandemia» e rivolgendosi agli studenti chiamandoli «i miè ragazit», si diceva «sicuro che da questo periodo difficile usciremo insieme ancora più forti. Nella vita si cresce e si impara anche, anzi alle volte soprattutto, soffrendo».
Però Bianchi, a tutto c’è un limite. E due anni di pandemia hanno lasciato solchi pesanti sulla sfera psichica, emotiva e formativa di moltissimi giovani. L’«educazione alla sicurezza» con i dispositivi anti Covid non è sicuramente la questione che dovrebbe stare più a cuore di chi si occupa di istruzione.
Più che “educazione alla sicurezza” la definirei “educazione alla sottomissione”.