Le rivelazioni nel nuovo libro del giornalista Luca Ciarrocca: «Siamo gli unici a ospitarle in due basi sul territorio nazionale, ci costano 100 milioni l’anno. Sono il frutto di un accordo segreto firmato non con la Nato ma con Washington» Italia colonia USA
Italia colonia USA. Oltre un anno di lavoro, interviste, pile di documenti da esaminare. Il risultato finale, però, è decisamente imponente. Non tanto per la mole (comunque robusta: oltre 350 pagine), quanto per il contenuto. Il nuovo libro inchiesta di Luca Ciarrocca, appena pubblicato da Chiarelettere, fornisce per la prima volta informazioni piuttosto precise sugli armamenti nucleari presenti in Europa, sulla loro collocazione e sul loro possibile utilizzo. Ciarrocca, già corrispondente dagli Stati Uniti per alcuni dei principali giornali italiani e autore di un paio di bestseller, dipinge uno scenario inquietante ben riassunto dal titolo del volume: Terza guerra mondiale.
Ciarrocca, leggendo il suo libro si capisce che non c’è molta chiarezza sul numero e la collocazione delle testate nucleari presenti in Italia e in Europa.
«Quello relativo alle testate nucleari è un argomento tabù da molti anni, su cui a lungo è stata mantenuta una cappa di segreto totale. I governi europei e non solo hanno totalmente ignorato le richieste di Parlamenti e società civili a questo proposito. Sono in pochi a sapere, per esempio, che ben cinque Stati europei ospitano testate nucleari americane. L’Italia è in prima fila e ha un rapporto di totale dipendenza da Washington: abbiamo due basi che le ospitano».
Sono quelle di Ghedi e di Aviano. Italia colonia USA
«Ghedi è in provincia di Brescia, è una base dell’aeronautica militare italiana che noi mettiamo a disposizione e che ospita i Tornado, gli aerei abilitati a sganciare le bombe. Ghedi è italiana, mentre Aviano è una base americana. Ciò che è più importante dire, tuttavia, è che le bombe atomiche in Italia rappresentano il 40% dell’arsenale americano in Europa. Un arsenale diviso fra Germania, Olanda e Belgio. Poi c’è la Turchia che è un caso a parte. Noi siamo gli unici ad avere due basi sul territorio».
In totale di quante testate dispongono gli Usa e la Russia che ora si scontrano in Ucraina?
«Nel libro pubblico i dati aggiornati al febbraio 2022. In questo momento Russia e Stati Uniti hanno il 91% delle testate nucleari mondiali. La Russia ne ha 5977, gli Stati Uniti ne hanno 5428. Poi ci sono gli altri Stati, quelli che io chiamo la Spectre dei nove. Tra questi c’è la Cina, che dovrebbe avere 350 testate e, secondo alcune proiezioni americane, nei prossimi 5-6 anni potrebbe arrivare a 1000. Israele dovrebbe averne 90, ma è un caso particolare, perché non si sa quante testate abbia con precisione. Anzi Parlamento e governo israeliano non hanno mai ammesso di possederle.
La Federation of american scientists, che io considero benemerita, tutti gli anni aggiorna il suo rapporto sullo stato degli arsenali nucleari in tutto il mondo, anche se pochi vanno a leggerlo, che tutti gli anni aggiorna per pochi intimi, nel senso che siamo pochi a seguirla. Sono loro, indipendenti, a raccontar le cose come stanno perché i governi di solito mantengono il segreto assoluto sulle testate nucleari».
Veniamo all’Italia colonia USA. Quante testate abbiamo sul nostro suolo?
«Sono 40. È una stima, non ne abbiamo la certezza assoluta. Fino a qualche anno fa erano 90, poi il numero è sceso. Ma nessuno governo – Berlusconi, Renzi, Draghi etc – ha mai fornito informazioni in proposito. Dovrebbero essere 20 a Ghedi e 20 ad Aviano»
È interessante capire come siano arrivate qui. Nel libro lei parla della circolare Trabucchi, che prende il nome da Giuseppe Trabucchi, ministro delle Finanze democristiano nel governo Tambroni. Di che si tratta?
«L’esistenza di quella circolare fu rivelata dal ministro socialista Rino Formica, il quale in un’intervista rilasciata a Walter Veltroni disse anche che non era mai stata abolita. In sostanza, nel 1960, il governo italiano permise che negli uffici doganali delle basi americane venissero sostituiti i doganieri italiani con quelli statunitensi. Questo proprio per favorire la circolazione delle armi, comprese quelle nucleari. Ricordo che in Italia ci sono circa 12.000 soldati americani, dunque c’è un presidio molto forte».
Eravamo nel pieno della guerra fredda. Oggi che tipo di testate nucleari abbiamo in Italia?
«Le bombe sono le vecchie B61 che nei prossimi anni, fino al 2026, verranno sostituite dalle B61-12. Queste ultime sono bombe a gravità, che vengono caricate sotto la fusoliera degli aerei con capacità tattica e nucleare, i Tornado. Questi aerei verranno a loro volta sostituiti dagli F35. Queste bombe hanno un potenziale in chilotoni che va da 0,3 a 170. Da una parte possono provocare distruzioni limitate e localizzate. Dall’altra possono essere devastanti e raggiungere una potenza distruttiva spaventosa».
Mantenere queste bombe e gli aerei che servono per sganciarle sul suolo italiano significa, tra le altre cose, spendere soldi. Quanti?
«È molto difficile rispondere, perché ovviamente queste spese non sono dichiarate, dato che ufficialmente non esistono. Vanno dunque ricavate, spulciando tra le righe dei bilanci del ministero della Difesa. È stata fatta una stima tra i 50 e 100 milioni di euro all’anno. A cui vanno aggiunti i costi per gli F35. Che, come noto, in origine dovevano essere 131, ma nel corso del dibattito sono stati molto ridotti di numero».
Italia colonia USA. Restiamo sulle testate nucleari. Quanto è sicuro mantenerle qui in Italia?
«A livello geopolitico e strategico, anche se i siti sono noti, le bombe sono pericolose per il fatto stesso di esistere, e potrebbero renderci bersaglio di una rappresaglia. Inoltre, avendo noi il 40% dell’armamento nucleare degli Stati Uniti in Europa si darebbe un durissimo colpo all’intero sistema Nato. Quanto alla sicurezza del mantenimento, dedico un intero capitolo del libro a questo tema. Analizzo un episodio molto interessante. Per un errore, forse umano o forse dell’intelligenza artificiale, per un errore furono messe online delle flash cards di soldati americani presenti in una base europea. Furono così fornite informazioni anche sulle basi di Aviano e Ghedi. Non sto a raccontare tutta la vicenda, che sembra veramente una storia di spionaggio. Mi limito a dire che i rischi ci sono, perché persino l’intelligenza artificiale ha spazi di vulnerabilità».
Tra le nazioni che hanno armi nucleari Nato sul loro territorio c’è anche la Turchia di Erdogan, di cui si discute molto in questi giorni. Diceva prima che quello turco è un caso molto particolare. Perché?
«La Turchia è il membro più a ovest del patto atlantico. Erdogan è l’autocrate perfetto perché usa il ricatto. Lo abbiamo visto anche con la questione dei migranti, per cui ha avuto diversi miliardi dall’Ue. Uno come lui può sempre mettere minacce sul tavolo. Ero corrispondente negli Usa quando ci fu un tentativo di colpo di stato ad Ankara e per quasi 24 ore sembrò che Erdogan fosse stato disarcionato da alcuni alti ufficiali dell’esercito. Ebbene, quell’avvenimento ha suscitato molta preoccupazione, perché in Turchia c’è una base con 20 testate nucleari americane. Quindi, di fronte a un colpo di stato, i Paesi della Nato erano terrorizzati che queste armi finissero in mano chissà a chi».
Abbiamo parlato della Nato. Ma nel libro lei spiega che, in realtà, l’Italia non ha un accordo con la Nato sulla presenza di testate nucleari. Esiste un accordo firmato direttamente con gli Stati Uniti.
«Esatto. Esiste un accordo bilaterale segreto firmato il 20 ottobre del 1954 dal democristiano Mario Scelba (allora presidente del Consiglio), dal liberale Gaetano Martino (ministro degli Esteri) e dall’ambasciatrice americana a Roma, Clare Booth Luce. L’accordo è stato poi rinnovato, e la segretezza è stata mantenuta con lo Shell Agreement del 2 febbraio 1995. Parliamo di un trattato top secret, il Parlamento fu informato ma non ci fu alcun dibattito. Quello che trovo francamente scandaloso è che questo accordo forse all’epoca della guerra fredda poteva avere un senso, ma oggi? Eppure rimane valido. Siamo dipendenti».
Così la accuseranno di essere anti americano o putiniano. Anche se lei condanna l’invasione dell’Ucraina e mi pare che abbia una certa famigliarità con gli Usa…
«Macché putiniano o altro. Dico solo che la nostra dipendenza da Washington è totale, è un fatto. Dipendenza militare, politica ed economica. Non è possibile continuare a dare risorse direttamente agli americani per un accordo siglato con loro e non con la Nato. Cosa direbbe l’Occidente se Putin avesse testate atomiche in Messico o in Venezuela? Nel libro accenno anche al fatto che in Europa gli unici ad avere bombe proprie sono Gran Bretagna e Francia. Il Regno Unito è fuori dall’Ue quindi gli unici europei che hanno bombe atomiche proprie sono i francesi. In pratica siamo tutti sotto l’ombrello nucleare americano».
di Francesco Borgonovo – La Verità – Nell’immagine Aviano (U.S.Air Force) Italia colonia USA
Lo so è da 75 anni che siamo una Colonia degli Americani Grazie ai Traditori. Pochissimi hanno cercato di cambiare le cose in Italia Mattei, Moro, Craxi, Falcone, Borsellino di cui conosciamo tutti i particolari della Loro fine! Mentre i Traditori Ingrao, Ciampi, Draghi, Andreatta, Napolitano, Prodi e tanti altri ancora si sono riempiti le tasche svendendo l’Italia agli Anglofoni! Ormai io sono vecchio e mi dispiace per voi giovani. A voi spetta un futuro molto duro però risolutivo perchè le generazioni future vivranno un nuovo Risorgimento!